martedì 7 dicembre 2010

Carne Diem

E allora perché mangiamo carne? Come giustifichiamo l'uccisione di un animale pur sostenendo che è degno della nostra considerazione morale? La prima risposta a questa domanda, quella più ovvia, va ricercata nella storia evolutiva dell'essere umano. Anche se oggi probabilmente non c'è più un bisogno esclusivo di mangiare carne, in quanto le sostanze contenute in essa possiamo ritrovarle in tanti altri alimenti, l'uomo lo ha fatto per tutto il tempo della sua permanenza nel nostro pianeta. Infatti sia la nostra dentatura che il nostro apparato digerente sono stati progettati per mangiare carne, e secondo gli studi antropologici il consumo di questo alimento ci ha aiutato a diventare quello che siamo, sia sotto l'aspetto fisico che sociale. Il cervello umano infatti, stimolato dalla caccia, sarebbe cresciuto in dimensioni e complessità; e la cultura fiorì e crebbe maggiormente in quelle zone dove si imparò a cuocere e a tagliare in modo appropriato le prede. Si tratta quindi di un retaggio culturale, forse addirittura genetico; sarebbe riduttivo pensare al consumo della carne come una semplice predilezione gastronomica. Smettere di mangiare carne significherebbe perdere irrimediabilmente una parte della nostra identità.Un'altra possibile spiegazione al fatto che mangiamo carne è dovuta al dubbio che un animale sia realmente in grado di provare una sensazione di sofferenza. Secondo alcuni scienziati (come ad esempio Daniel Dennet e Stephen Budiansky) si dovrebbe fare una distinzione tra il dolore, esperienza indubbiamente condivisa da gran parte del mondo animale, e la sofferenza, che deriva da un tipo di coscienza di sé apparentemente ristretto a pochissime specie. La sofferenza non è solo un dolore più forte, ma è una sensazione amplificata da caratteri prevalentemente umani, come il rimorso, l'autocommiserazione, la vergogna, l'umiliazione e la paura. Spingere un manzo verso il macello non è paragonabile all'accompagnamento di un condannato a morte verso il luogo di esecuzione: nella mente bovina non c'è la percezione della fine della vita, perché non esiste in essi il concetto di non esistenza.Un'ultima considerazione in favore dei carnivori. Siamo così sicuri che se un giorno smettessimo tutti di mangiare carne, e si realizzasse l'utopia vegetarianista, il mondo ne trarrebbe beneficio? Per sfamare l'intera popolazione mondiale sarebbe necessario intensificare (ancora di più di quanto non lo sia già oggi) la produzione agricola con l'impiego di fertilizzanti chimici e combustibili fossili, in quanto non sarebbero più disponibili quelli naturali. E siamo così sicuri che in un siffatto sistema le condizioni dell'ambiente possano essere migliori di quelle odierne?

Visto in questa ottica ci rendiamo conto che mangiare carne non è poi un atto così riprovevole; anzi, probabilmente è l'azione più morale possibile. Ma questo non significa che non dobbiamo avere a cuore il benessere degli animali. Il rispetto per essi non può venire meno. Oggi le aziende industriali di produzione di carne allevano il bestiame in maniera a dir poco violenta: pochissimo spazio a disposizione per muoversi, bombardamenti ormonali, antibiotici, mangimi sintetici; e questo non è assolutamente tollerabile. E' su questo punto che dovrebbero battersi gli animalisti, non sull'atto dell'uccisione, dove l'animale probabilmente neanche si rende conto di cosa sta subendo. Oggi esistono migliaia di fattorie che allevano il bestiame nei pascoli all'aperto; pascoli che vengono fertilizzati con il letame prodotto dagli animali stessi, in un sistema naturale dove al centro della propria filosofia produttiva c'è il rispetto per l'ambiente e per la fauna. Un giorno quegli animali verranno uccisi per alimentare gli uomini e per continuare quel ciclo vitale chiamato natura. Ma avranno vissuto una vita dignitosa.
(fonte:LaVinium)